Ogni sera, puntualmente, il salotto di casa mia si trasformava nel teatro di una tipica e ordinaria conclusione di giornata, con poche e semplici variazioni. Senza perdere tempo, appena terminata la cena e sorseggiato l’immancabile caffè, ogni componente della mia famiglia si apprestava a mettere in scena con impegno ed energia il proprio ruolo.
Mio padre, con il pigro aiuto di mio fratello, in cucina si occupavano di sistemare gli ultimi piatti, riempire la lavastoviglie e liberare il tavolo delle pietanze che non avevamo consumato, riponendoli accuratamente nel frigorifero. Io, che avevo già svolto i miei compiti pre-cena, dispensata di ulteriori incarichi mi godevo il meritato riposo.
Per ultima mia madre che, dopo aver preparato con cura il pasto, sempre contraddistinto di qualche delizioso manicaretto, si rendeva protagonista della nostra piccola e personalissima commedia casalinga: recuperati gli attrezzi del mestiere, disposti i ferri in posizione, si accingeva a continuare con attenzione il lavoro svolto la sera precedente, non prima di averlo sottoposto ad una verifica approfondita all’ostinata ricerca di qualche errore, che l’avrebbe costretta suo malgrado a disfare per correggere l’imperfezione.
Circondata da gomitoli colorati e ferri di diverse misure, constatata la correttezza del maglioncino fino a quel momento prodotto, si metteva all’opera. Guardare mia madre sferruzzare mi ha sempre stupita e meravigliata: la velocità sinuosa ed elegante delle dita che scorrevano senza intoppi tra fili di lana e ferri, era ipnotica, una capacità che purtroppo non sono mai riuscita ad apprendere. Ho sempre goduto dei frutti della sua gioiosa fatica. Nelle serate più speciali recuperava da un’anta nascosta e ben custodita dell’armadio in corridoio, una preziosa scatolina, ultimo oggetto del suo equipaggiamento.
La scatolina porta lavoro, in legno laccato rosso, presenta un’elegante macchina da cucito stampata sul coperchio finemente decorata, attorniata da rocchetti e un tessuto in lavorazione. L’apertura ad incastro svela il suo meraviglioso e colorato contenuto, organizzato accuratamente nei rispettivi scomparti: bobine di fili colorati, puntaspilli di velluto, spilli, aghi per il cucito, forbicine, nastrini, bottoni e bottoncini di diverse misure e materiali. Questo oggetto sanciva l’ultima fase di produzione dell’agognata creazione, che avevo visto formarsi in ogni sua parte, sera dopo sera. Gli strumenti in esso custoditi guidavano la composizione di maniche, retro e fronte in un’unica meravigliosa opera.
Il ricordo di queste serate di bambina si è risvegliato anni dopo, in occasione di una visita guidata piuttosto speciale per me: emozionata e agitata insieme, mi trovavo nelle sale di un museo per studiare la collezione e carpirne tutti i segreti, in preparazione alle visite che avrei dovuto svolgere personalmente. Era il 2019, un anno che avrebbe certamente cambiato tanti aspetti della mia vita, e giravo tra le sale di un piccolo e nascosto museo, che nel tempo avrei cominciato a chiamare casa.
Nell’osservazione minuziosa di una vetrina, trovai un oggetto tanto semplice quanto famigliare: una piccola cassettina porta lavoro. L’oggetto è del 1739, in legno intagliato e inciso con articolate decorazioni floreali, due stemmi e due colombe. Il coperchio imbottito, utile puntaspilli durante le varie fasi di lavorazione, è rivestito di tessuto blu e beige con fiori stilizzati e borchie. Non si conosce l’artigiano, non conosco il valore economico dell’oggetto – informazione molto spesso richiesta dai visitatori che guido tra le meraviglie di questa casa museo – ma mi piace sempre ricordare che il suo diritto ad essere osservato e raccontato non è dovuto al suo prezzo.
Oggetti semplici e quotidiani come una scatolina porta lavoro, possono narrare episodi della vita di ciascuno di noi, riportando alla memoria ricordi splendidi, esperienze che hanno definito la nostra storia, da non dimenticare.