Orma di Dante non si cancella

Orma di Dante non si cancella

Quello che ci contraddistingue da 40 anni é la carta, possiamo definirci un’impresa di carta. Per questo abbiamo scelto la guida dantesca “Orma di Dante non si cancella” come “cosa”.

Non è solo la passione per Dante che ci ha spinto ad editare questa guida, ma è l’insieme di un grande progetto svolto da persone, dalla mia famiglia. Io, mia mamma e mio Papá. Mi hanno coinvolta anni fa per trasmettermi la passione per la carta e quali emozioni può trasmettere. Cosa può suscitare un semplice magazine agli occhi di chi lo ha tra le mani. Certo viviamo ormai in un mondo tutto digitale, ma la carta per me, per noi rimarrà sempre quella cosa che ti fa ricordare, ha odori, ha un profumo diverso.

Posso dire che ogni giorno mettiamo insieme, l’amore per la carta, per il nostro territorio perché vogliamo far conoscere a turisti e persone di altre regioni la nostra terra che è la Liguria di Levante e tutto ciò che c’è di bello da fare.

Lo facciamo attraverso le nostre foto, che solitamente scatta mio Papá oppure io, attraverso il racconto, attraverso le persone che ci danno fiducia e prendono parte alle nostre riviste.

Ogni giorno ci mettiamo l’unione, la forza e soprattutto il coraggio. Il coraggio che in questo periodo non sarebbe potuto mancare per stampare la guida su Dante.

Dovevamo mantenere una promessa e ce l’abbiamo fatta.

Come disse Dante:” e quindi uscimmo a riveder le stelle” sperando che in questo momento buio, ci porti un po’ di luce!

www.italiapervoimagazine.it

Il silenzio è cosa viva

Il silenzio è cosa viva

Cosa ci fa un libro di una poetessa, cosa ci fa la voce di un essere umano che ci parla di meditazione… nel museo delle cose?

Anche questo, come gli altri libri che abbiamo presentato, è un invito alla lettura. Questa volta vogliamo farlo in un modo diverso dal solito, senza sinossi, ma solo con una citazione. Un invito a riflettere (meditare è altra cosa).

Il Maestro thailandese Ajahn Chah beveva il tè sempre dalla stessa tazza, la sua tazza preferita. Un giorno, un discepolo gli chiese: “Ma tu non ci insegni il non attaccamento? Perchè hai una tazza preferita?” E Ajahn Chah gli rispose: “Ah sì, è la mia tazza preferita, ma vedi, per me è già rotta”.

Matteo

Lampada – La fedele amica del minatore

Lampada – La fedele amica del minatore

Questa lampada fa bella mostra di sé nella sala dedicata alle miniere in galleria, perché la storia delle miniere del Valdarno è lunga, 150 anni di estrazione di lignite, parente povero del carbone.

Le lampade più comuni usate nelle miniere di Cavriglia erano quelle ad acetilene o a carburo. Avevano un compito molto pratico: portare un po’ di luce nel sottosuolo. Servivano soprattutto per infondere sicurezza e coraggio necessari ad affrontare l’oscurità e le mille insidie delle gallerie umide e inospitali. Ogni minatore aveva in dotazione la propria lampada che tirava a lucido, riforniva di carburo e acqua e ne controllava la chiusura.

Le lampade erano di tanti tipi, alcune erano prodotte dalle più importanti fabbriche di lampade italiane come la Santini di Ferrara, la Ricceri di Follonica e la Fratelli Acuti di Casale Monferrato. Essendo però un oggetto abbastanza semplice da realizzare, alcuni minatori provvedevano da soli alla creazione.

Anche il carburo era di facile reperimento. Uno dei principali fornitori era la miniera stessa, che spesso abbondava nel quantitativo che dava agli operai che portavano a casa i rimasugli; c’erano poi i negozi che vendevano di tutto un po’ e anche il combustibile. Lo usavano anche i ragazzi per giocarci, riempivano un barattolino e lo mettevano sotto terra per farlo esplodere. L’odore dell’acetilene ricordava molto quello dei capi d’aglio.

La fiammella bianca e brillante che veniva sprigionata dal beccuccio aveva però un difetto: poteva esplodere, soprattutto se entrava in contatto con il grisou, un gas inodore e incolore legato ai processi di trasformazione della lignite dalla quale si sprigiona al momento dell’estrazione. In queste esplosioni poteva capitare che fossero coinvolti i minatori stessi con conseguenze drammatiche, a volte mortali. Per limitare questo problema nelle miniere erano presenti anche altre lampade. Uno di questi modelli era la lampada “Friemann Wolf”, alimentata a benzina e usata soprattutto nelle camere di abbattimento.

Le altre lampade erano quelle elettriche a batteria, nonostante fossero lampade sicure per quanto riguarda le esplosioni – non avevano una fiamma libera – avevano però altri difetti tra cui il peso eccessivo e varie imperfezioni di tipo costruttivo. Ciò ne limitò l’uso relegandole a lampade di riserva o di sicurezza. Questa tipologia veniva ricaricata alla lampisteria San Paolo nei pressi della miniera di Santa Barbara.

Da cosa nasce cosa

Da cosa nasce cosa

Da cosa nasce cosa è un libro che mi ha insegnato molto. L’ho utilizzato soprattutto per acquisire un metodo di lavoro, un metodo per progettare, nel mio caso gli allestimenti museali, ma non solo.

In questo libro Bruno Munari spiega quale sia il processo utilizzato da ogni designer per concepire un oggetto utile, funzionale, piacevole. Lo stesso metodo può essere però utilizzato in tantissimi ambiti differenti, il mio invito è quindi quello di acquistare questo manuale, di facilissima lettura, per acquisire uno strumento utilissimo per il proprio lavoro: è consigliato non solo a chi si occupa di design e progettazione, ma a tutti coloro che vogliono inventare qualcosa di nuovo.

Perché il Museo delle Cose ha deciso di recensire questo libro? La risposta è semplice anche se non è immediata per tutti coloro che hanno già letto questo libro per motivi di studio o di avoro. Chiunque seguirà il nostro consiglio scoprirà un nuovo modo di osservare gli oggetti e le cose che ci circondano, siano esse scaffalature, illuminazioni, mezzi meccanici…

Tutti questi oggetti, tutte queste COSE hanno subito un travaglio prima della loro nascita, un travaglio fatto di problemi da superare: peso, ergonomia, sensorialità, materiale, costo… Grazie a soluzioni che di volta in volta sono state sperimentate e testate da grandi designer, hanno infine visto la luce e sono entrate nelle nostre case e non solo.

L’Italia è un paese famoso nel mondo per la sua creatività, ma niente come questo libro illustra chiaramente che il processo che noi chiamiamo “creativo” con un’accezione troppo spesso legata alla fantasia è in realtà un metodo di progettazione logico, cartesiano, scientifico… ma sarà un piacere scoprirlo dalle parole scritte da Bruno Munari. Siamo sicuri che consigliando questo libro aggiungiamo una nuova visione, un nuovo punto di vista, adatto a scienziati ed umanisti, ad appassionati di storia e tecnica. Leggetelo, soprattutto se siete fucine di idee, perchè poi non si sa mai…da cosa nasce cosa.

Matteo.

Per saperne di più su come uso questo libro in museografia, scrivetemi a curatori@museodellecose.org

Pedina da giOCA  / Piece

Pedina da giOCA / Piece

Correva l’anno accademico 2012/2013, quando portai a conclusione il mio percorso di laurea in Storia dell’Arte, presentando una tesi sul significato iconologico dei giochi di percorso in età moderna: un argomento sicuramente poco accademico, che, contro ogni aspettativa, mi ha dato e continua a darmi grandi soddisfazioni, permettendomi di continuare a studiare divertendomi!

Ero indecisa sul segno da lasciare a chi mi aveva sostenuto nel mio percorso e aveva accolto questa bizzarra scelta con entusiasmo e, così, decisi di unire l’utile al dilettevole: l’oca in foto è una delle due bomboniere superstiti, rimaste tra le mie mani e conservate gelosamente.

Si tratta di una pedina di legno su base rossa, data l’occasione, realizzata in Germania dall’azienda Spielmaterial.de. Sull’utilità di questo oggetto potreste avere dei dubbi, ma… chi non ha mai perso una pedina da gioco?

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